
Che succede adesso ?
Potrebbe essere la domanda che unisce il prima al dopo e dimostra che tutto cambia solo perché niente cambi davvero.
In questo Paese assistiamo a un fenomeno molto diffuso nella vita personale di ognuno di noi e per questo ritenuto – almeno in parte – normale: quello di spostare un po’ più in là il problema o di ritardare il più possibile il momento in cui dovremo affrontarlo, quel problema. Accade, infatti, nella nostra vita quotidiana di confidare che il nostro procedere dentro a schemi consolidati e diffusi ci faccia credere che, in fondo, siamo dalla parte giusta. Se condividiamo con la “maggior parte” il nostro modo di essere e di vivere, vorrà dire che è giusto così e che i segnali che ci giungono e sembrano avvisarci che, invece, così non va devono essere un falso allarme.
Se così non fosse, pensiamo, dovrebbe venire giù tutto e sarebbe la fine del mondo come lo conosciamo; dunque, non accadrà niente di male.
È evidente che si tratta di un rifiuto, di una non-scelta provocata probabilmente da un altro sentimento (sebbene la parola non sia forse la più corretta, non ne trovo un’altra) che ci condiziona profondamente: la paura.
Abbiamo paura, dunque, e per questo rifiutiamo di prendere atto di ciò che ci spaventa e rinunciamo ad agire per cambiare le cose, anche solo per provare a farlo.
Abbiamo costruito un meccanismo perfetto per risparmiare a noi la responsabilità e il peso delle azioni indispensabili per esercitare il potere. Questo avviene in basso, nelle nostre vite di ogni giorno, e si diffonde in alto, attraverso la struttura con cui le forme di pensiero e i modelli di comportamento si estendono all’organizzazione sociale e all’organismo collettivo, alla comunità.
Siamo uomini e donne inerti e rinunciatari che hanno generato un corpo sociale affetto dalla stessa indolenza e disposto alla medesima rinuncia. L’idea di partecipare a una democrazia, parlamentare e organizzata in funzione di principi alti, ci è sufficiente per non far nulla anche quando le regole di base di questa sembrerebbero palesemente trasgredite e, comunque, gli effetti del suo funzionamento sono pessimi; per la collettività, per il sistema che la compone e infine per noi stessi.
Il problema si mostra sempre più evidente, ma noi ci rifiutiamo anche di parlarne, poiché certamente sappiamo che la democrazia che abbiamo creato (o ereditato al più) è dotata di vita propria e saprà trovare la soluzione anche senza il nostro personale contributo.
Da questo consegue che siamo innanzitutto pronti ad obbedire e così abbiamo fatto negli ultimi due anni e mezzo. Consegnate le scelte importanti ai campioni della democrazia, abbiamo trascurato che fossero stati nominati (e non era la prima volta) senza applicare le regole di base del nostro modello partecipativo e abbiamo obbedito a qualsiasi scemenza questi ci abbiano propinato; certi che fossero giunti al vertice del corpo istituzionale grazie al modello che ci protegge e ci garantisce che alla guida si trovino “i migliori”.
Ci siamo spaventati molto quando ci hanno annunciato il flagello mortale e planetario, ma i migliori erano al comando e mostravano fin da subito di sapere cosa fare. Il sistema ci avrebbe salvati perché era lì per quello, pronto a dimostrare la perfezione della sua organizzazione verticale e democratica.
Loro – a differenza di noi uomini e donne comuni – erano preparati ad affrontare il problema e non sarebbero certo fuggiti davanti a quell’anatema.
Noi, di conseguenza, abbiamo potuto affidarci senza troppo sforzo e trasferire le scelte decisive per la nostra vita sul loro tavolo ben organizzato, pieno di comitati e task-force.
Da quel giorno è successo di tutto e ai migliori ne sono succeduti altri, ancora “più migliori” dei primi.
Siamo arrivati a oggi, con una parte del sistema democratico letteralmente distrutto e smantellato, perché i primi hanno dovuto disapplicare, una ad una, le sue garanzie essenziali che impedivano loro di affrontare il problema con la necessaria efficacia; è stato necessario cedere i diritti che credevamo irrinunciabili in nome della garanzia del loro potere. Non personale, ovviamente, ma quello necessario a fronteggiare un pericolo mai visto prima.
Poiché non ci siamo interrogati e continuiamo a preferire di non farlo, prendiamo atto che il problema poteva non essere esattamente quello che ci è stato detto ed anche che le soluzioni potrebbero essere state le peggiori, ma andiamo avanti compatti, ancora tutti insieme, sostenendoci l’uno con l’inerzia e la rinuncia dell’altro. Cerchiamo altri capi che raccolgano il testimone e si assumano per noi la responsabilità.
Di un nuovo e spaventoso problema.
Già, mentre il primo non è più chiaro cosa fosse, cosa sia e se ancora deve spaventarci (e pare addirittura che ci abbiano mentito…), ne è arrivato uno nuovo di zecca, bello grosso e certamente più pauroso.
Questa volta, però, siamo più tranquilli perché la macchina verticale e democratica che nutriamo ci ha rassicurati su alcune cose fondamentali: ci sono buoni e cattivi, noi siamo tra i primi, vinceremo presto e di certo.
Nel frattempo, abbiamo avuto la prova che il sistema democratico è bello e buono e funziona sempre, e anche questa volta ci salverà, risparmiandoci di pensare, scegliere e agire.
Abbiamo votato e la democrazia ha mostrato tutto il suo potere.
Oggi c’è addirittura una donna che sta organizzando una nuova squadra di migliori e testimonia l’alternanza, il più limpido esempio della salute di una democrazia. Se i migliori di prima hanno fallito, ne arrivano subito di nuovi che noi e solo noi scegliamo.
Per questo non dobbiamo preoccuparci, deteniamo noi il vero potere e ci basta scegliere tra uno dei bellissimi campioni che troviamo sull’elenco delle preferenze; è sufficiente ricordare uno dei simboli che evocano il nostro senso di appartenenza e segnare la croce su di esso, per compiere la nostra piccola e decisiva rivoluzione democratica.
La televisione, intanto, ci ha fornito tutti gli elementi per compiere una scelta consapevole e responsabile e chi non si accontenta avrà potuto conoscere ogni dettaglio dalla sorgente del sapere libero che si chiama stampa.
Insomma, passata la paura per il contagio (che ha contagiato tutti senza uccidere quasi nessuno) ora possiamo scegliere di non affrontare anche quella della guerra e della fine del mondo.
Siamo i buoni, siamo dentro a un sistema democratico ed efficiente che è dentro a un altro sistema ancora più democratico ed efficiente, che possiede anche molte armi potenti e ci salverà.
Come prima, come sempre, il nostro problema non è più solo nostro ma di tutti e quindi qualcuno lo risolverà sicuramente.
Intanto a casa nostra possiamo ancora divertirci a discutere di fascismi scaduti, sinistre dissolte e nuove alleanze.
Siamo finalmente a nostro agio nel dibattito nobile e senza rischi sull’accento borgataro della bionda premier in pectore e sulle intemperanze scritte sul foglio dal suo alleato imbalsamato.
Queste sono le domande giuste per noi.
Chi ha comprato le rose che La Russa ha consegnato alla Segre ?
Che c’è dietro la nomina del giovane-vecchio alla Presidenza della Camera ?
Poco importa della confessione di Big Pharma, della guerra sul fronte ucraino e delle testate termo-bariche che possono fare danni enormi senza lasciare radiazioni, oppure di quelle nucleari che pare abbiano raggiunto posizioni comode per un attacco tattico.
Poco importa della guerra interna con il 2023 in recessione per il Fondo Monetario Internazionale e per le società di rating (tanto c’era Draghi a dire che cresceremo comunque), dell’inflazione a due cifre vere, dell’energia decuplicata che ci imporrà di scegliere se riscaldarci o mangiare.
Questi argomenti non sono davvero affar nostro, troppo impegnativi e troppo grandi per le nostre vite già così complicate.
Lasciamoli ai nuovi migliori che presto occuperanno quelle poltrone così importanti e mettiamoci comodi ad attendere le loro istruzioni sul divano di casa davanti alla tv, finchè li avremo ancora.
PS: qualcuno scrive di essere stufo di tutte queste analisi che lo infastidiscono e che poi tanto “noi cosa possiamo fare?”.
Ora capisco perché alcuni di quegli stupidi analisti-perditempo ha sottolineato che l’Italia è un paese di analfabeti funzionali dove:
- su 100 italiani solo 62 sono in possesso di un diploma;
- su 100 italiani solo 16 hanno conseguito la laurea;
- su 100 italiani solo 4 ricorrono alla formazione professionale nel percorso lavorativo;
- in Italia oggi oltre 3,5 milioni di giovani con meno di 35 anni non lavorano, non studiano e non si interessano di nulla.
Essere “migliori” qui non sembra troppo difficile.
I detrattori anti-sistema sono evidentemente arrabbiati perché non li hanno chiamati a partecipare tra quei migliori e non li aspetta una di quelle poltrone comode.
Dimenticavo, di tutta quest’Italia il 35% non ha votato (dalle mie parti oltre il 60%…).
Ma questa è la democrazia belli… la parola viene dal greco e il potere è del popolo.
La fine del mondo deve aspettare.
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