“That’s who you are, that’s what you could
Come on, come on, no one can see you cry”
(Imitation of life – R.E.M. – Reveal 2001)
ASCOLTA: https://music.youtube.com/watch?v=tp69nFbWscs&feature=share

Mi muovo verso la lunga fila alla cassa del supermercato; è domenica mattina ed è molto presto, non avrei immaginato che ci fosse tanta gente, ma non ho fretta e rallento il mio passo. Ognuno ha in mano poche cose, per la maggior parte si tratta di baguettes e croissant appena sfornati, il profumo è forte e piacevole, riempie l’aria ed io sono calmo e rilassato.
Da sinistra arriva un omone grande e grosso, sarà altro un metro e novanta e sul peso non oso fare supposizioni, le sue mani e i suoi piedi sono davvero enormi. Con uno di quei piedi spinge sul pavimento, come fosse una piuma, una cassa d’acqua verso la persona che mi precede, mi guarda di traverso, senza girare del tutto la testa e neppure intercettare i miei occhi.
“Ci sono prima io”, dice con tono da gladiatore e continua a tenere lo sguardo basso, indeciso sull’effetto che dovrebbero farmi la sua stazza e il suo aspetto minaccioso.
Non me ne fanno alcuno, né l’una, né l’altro.
Sorrido e gli rispondo con gentilezza: “Si. Va bene.”
Mi fermo per lasciare che prenda posto davanti a me.
Lui ripete: “Si ma ci sono prima io”.
Lo guardo e la mia espressione dev’essere attonita; lui non è in grado di resettare il suo programma ormai in azione e continua imperterrito: “ero andato un attimo a prendere questo…”, mi mostra la bottiglia che tiene in una delle sue mani gigantesche e sembra un giocattolo. “Ero qui, dietro a lui”, indica chi mi precede e non mi volge le spalle, come se temesse una reazione.
Si aspetta che io replichi, così lo faccio: “le ho detto che va bene, non altro. Prego…” e gli faccio cenno che può prendere il suo posto e rilassarsi, finalmente.
È a disagio e continua a parlare ad alta voce finchè la cassiera non prova anche lei ad essere gentile con lui: “lei dev’essere un cliente dell’altro nostro supermercato, vero?”. La sua risposta è stupida e scostante.
Paga e va via con le buste che spariscono quasi tra le sue dita sovrumane.
La commessa è carina, giovane e truccata bene, mi sorride e io ricambio, la piccola tempesta che si era addensata in quei pochi metri si dissolve veloce e sembra tornare il sereno dentro a quel posto.
Mi viene da ridere, esco e sento che l’illusione è ovunque.
Da qualche tempo ho imparato a tacere e osservare.
È sempre un’esperienza istruttiva e a volte ha implicazioni inattese.
Ora sono in compagnia di uno dei miei capitani, uno di quelli che si sente nato per comandare ed essere un leader, ma io credo che abbia soltanto un bel deficit da compensare e qualcosa da nascondere così. Mi mostra che nessuno è sempre e solo un capitano in questo mondo tanto ben disciplinato; c’è una regola a cui è difficile sfuggire: anche il capitano più decorato, prima o poi diventa il luogotenente di qualcun altro.
La parabola è evidente e il copione si ripete, pieno zeppo di racconti fantastici e supercazzole atomiche.
Da giocatore di poker pentito, il mio incubo peggiore è sempre stato quello di giocare un bluff e scoprire (troppo tardi) che qualcuno aveva messo uno specchio alle mie spalle, permettendo al mio ultimo avversario di leggermi le carte e rubarmi il piatto. Non è uno scenario dissimile da quello a cui assisto mentre il mio Lancelot racconta di essere un provetto artista marziale, ignaro che al nostro tavolo è seduto un vero erede di Bruce Lee.
Per sua fortuna, l’ospite non si rivela e annuisce quando racconta le sue prodezze, ma io provo un vero imbarazzo al posto suo. Una legge quantistica dice che la realtà dipende dall’osservatore, dunque tutti sono salvi, soprattutto il capitano travestito che non sa di essere stato scoperto.
Il guaio (o il bello, dipende dai punti di vista…) è che tutti questi capitani coraggiosi, intenti a raccontare il significato di ogni singolo graffio (anche i più piccoli) sulle loro armature lucenti, sono inevitabilmente destinati a diventare gli attendenti di qualcun altro, più forte, più potente, più ricco.
È un destino ineluttabile da quando hanno scelto di prendere parte alla recita dell’ascesa sociale su questa scala lucente; rinunciando a cercare sé stessi per corrispondere al modello più utile hanno mandato un segnale all’universo che gli darà per un po’ ciò che chiedono. Ma non potrà mai renderli definitivamente ciò che non sono.
Non c’è giudizio per quello che vedo. Osservo con il cuore in pace lui che si dibatte nella stessa palude in cui io ho rischiato di annegare.
Non mi serve più la mia falsa identità e adesso mi godo il cammino verso quello che sento di essere, mentre il campione si sforza di non concedermi spazio per paura di perdere il ruolo sul palco.
Dovrei dirgli di stare tranquillo, che non mi interessa, ma so che non mi crederebbe, come so che l’incantesimo non si spezzerà e continuerà a recitare, per interesse, per la borsa, per la luce riflessa o anche semplicemente per sapere chi è, tra gli applausi del pubblico pagante.
Capitàno e luogotenente allo stesso tempo.
Intanto, ho visto all’opera la Maestra che spezza ogni volta l’incantesimo, per chi non è pronto e per chi lo è. Lei non perdona, semplicemente perché non può e tutti la temono.
Il suo nome è bandito o riservato ai maestri delle cerimonie e della fede, così non la nominerò, ma posso raccontare che le ho già parlato nel suo giardino fiorito e tra le immagini delle anime che ha preso con sé ho trovato una risposta su questa grande illusione.
L’Universo non mi darà nulla di ciò che voglio.
Mi darà ciò che sono.
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