La prigione di Dio

«Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».

(Vangelo di Gesù secondo Matteo 13,52)

La sala d’aspetto dell’aeroporto è gremita, piena di persone di ogni tipo, una sorta di melting-pot senza alcun criterio o filtro di qualsiasi genere: donne e uomini di ogni età, bambini e ragazzi sembrano in attesa di ricevere un dono unico, tutti con lo sguardo puntato nella stessa direzione, tutti attenti a percepire un segnale che faccia capire loro che è il momento che attendono, quello in cui le piccole porte scorrevoli si apriranno e lasceranno passare il loro viaggiatore. Chissà perché negli aeroporti, come nelle stazioni e nei grandi porti ogni singola persona comune che sbarchi da un aereo, che scenda da un treno o prenda terra da una nave da crociera assume un’aura avventurosa, porta con sé il significato epico dell’approdo, il raggiungimento della meta, la fine del viaggio. O forse non è per niente così e sono solo io con la mia fantasia e la mia sensibilità iperattiva a immaginare che per ognuno di quei volti in attesa ci deve essere una storia più o meno interessante da svelare e un significato da cogliere.

Intanto, però, mi godo uno dei miei passatempi preferiti e osservo senza muovermi e neppure pensare, lascio che siano gli eventi in movimento, le persone in azione a suggerirmi una storia da scrivere più tardi; ci vedo sempre la mano di Dio in quelle energie irrequiete, nei gesti nuovi e negli occhi così diversi e mai visti prima.

E anche oggi è così.

Ci sono tre camicie identiche e tre cartelli con lo stesso simbolo, sollevati pressappoco alla medesima altezza da braccia femminili e ognuna di quelle donne si trova lì per accogliere qualche fortunato viaggiatore appena approdato alla prima tappa della sua vacanza “all-inclusive” e probabilmente anche all’ultima, se le insegne tenute alte da quelle guide faranno come sempre con loro, intrappolando quei clienti nell’offerta 6+1 che qualcuno ha progettato per dare l’illusione del massimo svago al miglior prezzo.

Una di quelle donne non è come le altre due. La sua figura è simile, solo un po’ più elegante, più snella e i movimenti sono meno rapidi, c’è una breve attesa anche quando intercetta lo sguardo del gruppo che è destinato alle sue attenzioni. Quanto si volta, i capelli biondi che avevo visto fino a quel momento, si ritirano a fare da cornice a un volto maturo ed espressivo, con molte rughe disegnate con armonia e disposte con misura introno agli occhi vividi e alle labbra un po’ più sottili di vent’anni prima.

Parla con calma e fluentemente, senza staccare lo sguardo da quello che ha riconosciuto essere il capo di una famiglia numerosa di ospiti ricchi, con le camicie di marche famose e le improbabili sneakers di Kanye West ai piedi di un signore maturo che (secondo la mia fantasia irrispettosa) potrebbe averle rubate per sfuggire a un’emergenza, e quindi non ci deve andare per forza d’accordo.

La guida avrà sessantacinque anni portati benissimo e mi chiedo cosa la spinge a fare quel lavoro, ancora, e faccio un’altra congettura guidato dalla mia fantasia. Credo che qualcosa renda necessario il suo stipendio, al punto da valere il sacrificio di quelle levatacce mattutine, delle lunghe attese in piedi, dei sorrisi per forza e – soprattutto – di quell’uniforme variopinta e cafona. Quella donna non la metterebbe mai se non ci fosse davvero costretta.

Ho memorizzato molti dettagli e posso dedicarmi alla mia ricerca personale, ma so che ci vorrà ancora tempo prima che mio figlio appaia da quelle porte microscopiche che ora costringono un’intera squadra di qualche sport a sfilare lentamente in ordine forzato, tra gli applausi e le grida di incitamento – per qualche successo raggiunto altrove – del comitato di genitori che li attende da almeno un’ora.

La guida bionda ed elegante sta accompagnando il suo clan germanico fuori dal tunnel degli arrivi, mentre mi viene in mente che quella che sto osservando è la prigione di Dio.

È l’umanità in cui il Creatore ha scelto di infondere la sua scintilla, lo scrigno angusto in cui ha deciso di stipare l’incontenibile meraviglia della sua perfezione, dando forma a ciò che non può averne, ponendo limiti a quello che altrimenti contiene tutto e non può essere circoscritto, disegnando confini all’infinito, per poter toccare, sentire, respirare la perfezione di sé che altrimenti non avrebbe alcuno sfondo su cui osservare la sua immagine.

È quell’umanità densa il solo ostacolo voluto da Dio per impedire alla Luce di conquistare ogni spazio e proiettare così la sua ombra.

In ognuno di quegli uomini, in ciascuna donna è stato piantato il seme unico dell’Uno e ora ciascuno di loro contiene il contenitore universale che accetta di essere ridotto in catene effimere, che potrebbe spezzare senza sforzo, e si lascia rinchiudere nella sua prigione di carne, ossa e sangue per fare finalmente esperienza di sé.

Così tutto ha più senso.

Anche la morte drammatica della mia (seconda) artista preferita, rinunciante e suicida, che ha impiegato pochi anni a rendere sublime il dono scintillante di Dio e gli altri a rendere aspro e insopportabile il sapore della vita. La vita che ha respinto e fatto respingere al suo figlio più giovane e uguale, fino a spingerlo a scegliere di tornare dalla vita prima di lei, perché avesse un motivo buono e decisivo per seguirlo senza esitare ancora.

Un’altra aveva scritto e cantato con il suono meraviglioso della sua voce il buio della sua anima imprigionata e le ferite inflitte dalla vita, da questa parte del cielo, e aveva scelto di lasciarla prima che svanisse tra i miraggi della sua padrona chimica.

Così ha senso anche il ricordo che mi tiene lontano dalla confusione di quell’aeroporto a lungo e mi distrae dalla mia osservazione.

Ho sognato un tempo passato stanotte e ora lo ricordo. Ero più giovane e il mio sonno era profondo, mentre credevo di conquistare la vita e affondavo i denti nella superficie soffice del suo miraggio. Camminavo su strade scintillanti e avevo accanto un amico ancora più giovane di me, che era davvero perfetto per quella scorribanda senza freni; mi aveva cercato e trovato e mi seguiva come se sapessi dove andavo, confidava che potessi dare soddisfazione alla sua smania e qualche risposta alla sua insoddisfazione. Insieme abbiamo comprato cose e consumato il tempo senza rispetto perché non ne meritava e insieme siamo giunti alla prima fermata di quella corsa. È stato lui un giorno a rivelarmi che stavo nascondendo bene una verità; è stato lui a pentirsi subito per quelle parole, quando ha letto la disperazione e lo sgomento nei miei occhi di fronte a quella scoperta sciocca e inutile e lui mi ha dato lo strumento per seppellirmi in profondità, respingendo ciò che era e imbiancando con cura il sepolcro.

Ho combattuto per anni dopo aver appreso che stavo recitando e ho respinto con violenza l’idea che ciò in cui mi ero riconosciuto fosse una gigantesca menzogna. E ho sferrato colpi contro un nemico immaginario che era venuto nella mia vita perché l’avevo invitato e mi stava offrendo l’occasione perfetta per liberarmi.

Ma ero io la prigione di Dio e non potevo capirlo, non senza versare molto del mio sangue, avvelenato dall’incantesimo che mi illudeva di negarlo.

Così una notte – in cui finiva un anno vissuto come pazzi – ci siamo scritti qualcosa, dopo aver sprecato il nostro tempo a cercare di placare la sete che aveva sincronizzato i nostri cuori così diversi, perché l’amicizia è uno dei tesori per cui anche Dio è disposto a chiudere dietro di sé le sbarre e rimanere inerme come se non avesse il Suo Potere.

Quelle parole si sono mescolate alle lacrime e sono sospese a metà tra quel mondo e quello di adesso, sono le ultime che ho potuto leggere e le ultime che ho potuto scrivergli e così sarà finchè non tornerà, in questa o in un’altra vita.

Quelle parole sono cose antiche, portate a me da quelle nuove e mi hanno permesso di mettermi al servizio del regno dei Cieli come nelle parole di Matteo e di sorridere come faccio adesso, travolto da tutta l’umanità che agita questo aeroporto.

Persone che odiavo per avermi portato via l’amore sono diventate presenze benevole che mi hanno guidato verso la porta della prigione. Cose che amavo per avermi dato l’attenzione del mondo non valgono più nulla e si dissolvono come polvere insieme al giudizio di quel mondo di cui non mi interesso più.

Le piccole porte scorrevoli si sono aperte anche per me e mio figlio è comparso con il suo bagaglio, i suoi occhi stanchi e il suo sorriso bellissimo.

L’abbraccio forte e gli parlo. Gli parlerò ancora di come la verità si rivela dietro ad ogni menzogna, di come la vita brucia dentro ad ogni momento gelido di paura e proverò a mostrargli la prigione, le sue sbarre e Dio dentro di lui.

Finchè non accetterà e non vorrà aprirgli la porta di quelle sbarre e vivere davvero.

Siamo fuori da quell’aeroporto adesso e il sole è alto su di noi. 

Poi ho scritto a lungo, ma ho trovato altre e migliori parole da dedicare al mio amico del cuore.

“Sono entrato cieco in prigione ed esco vedente; sono entrato viziato, coccolato, esco guarito dalle arie, dalle pretese, dalla presunzione; sono entrato scontento, esco conoscendo la felicità; sono entrato nervoso, permaloso, sensibile alle sciocchezze, esco indifferente a tutto ciò; il sole e la vita volevano dire poco, adesso so assaporare la più piccola fettina di pane; esco ammirando soprattutto il coraggio, la dignità, l’onore, l’eroismo; esco riappacificato: con quelli verso cui ho sbagliato, con i miei amici e nemici e anche con me stesso. Perciò sto in ginocchio e ringrazio Gesù Cristo promettendogli di fare il possibile per comportami, d’ora in poi, con distacco di fronte a tutte le avversità, gli ostacoli, le provocazioni; sarò solo allegro, sempre riconoscente per ogni gioia, ogni parolina buona che non sia bestemmia e imprecazione e desidererò piuttosto la morte che commettere peccati che gridano vendetta al cielo.”

Nicolae (Nicu) Steinhardt – “Il diario della felicità”

2 risposte a “La prigione di Dio”

  1. Bellissimo! Hai fatto e sicuramente stai facendo un percorso meraviglioso… e non sei solo. Non lo siamo mai in effetti ma, a volte, a volte, sentiamo solo il dolore… Potresti scriverci un romanzo.

    Piace a 1 persona

    1. Grazie per l’apprezzamento e per riconoscere il mio cammino. Quanto a scriverne un romanzo, in realtà l’ho già fatto. “Lucy” è proprio quella storia. O meglio, il tratto di quel percorso compiuto fin lì ed oggi il cammino prosegue, ne scrivo e ne scriverò ancora.

      Piace a 1 persona

Lascia un commento