6 agosto 1945

“…dobbiamo accettare il nostro male, senza amore né odio, riconoscendo che esso esiste e che deve avere la sua parte nella vita. In questo modo gli togliamo la forza di sopraffarci.” (K.G. Jung – L’apertura dell’uovo).

Ambizione e sogno, scelte e azioni.

Conseguenze e responsabilità, dolore e senso di colpa.

Esco dalla sala un po’ stanco per la durata della mega-produzione targata Universal e ho uno strano sapore da riconoscere e interpretare, quando tutto mi è chiaro davanti alla scena in cui Cillian Murphy (magistrale, a mio avviso) risponde, annuendo, all’accusa della bellissima e fortissima moglie (Emily Blundt, anche lei davvero ispirata nel ruolo) di aver scelto di farsi massacrare per non essere ritenuto, o anche solo per non essere ricordato, come il padre e il creatore del nuovo potere di vita e di morte sull’umanità.

Il film non è per nulla banale perché racconta (soprattutto) del suo tentativo di lavare via il sangue che sente ormai sulle sue mani.

Si chiama “Trinity” il test che consegna al cinismo della guerra, ormai volta alla fine con la Germania sconfitta, il potere definitivo. La spada di fuoco che presto verrà mostrata al mondo con un atto crudele, spettacolare e forse inutile; questo dilemma fa a pezzi la coscienza di Robert Oppenheimer al punto da indurlo a preferire un massacro pubblico, con un finale truccato, al peso insopportabile della responsabilità che diventa colpa.

E l’epilogo cinematografico non è da meno. 

“E ora sono diventato la morte. Il distruttore di mondi”, questa citazione della Bhagavadgītā è suggestiva, ma autentica come il tanfo di carne bruciata e vomito che la visione mentale di Robert Oppenheimer rovescia sul pubblico dopo che l’Enola Gay ha compiuto la sua missione su Hiroshima.

Niente di nuovo, forse, ma è proprio questo il gusto che cercavo di riconoscere. 

La storia di Robert Oppenheimer è comune, simile a quelle di molte persone, intente a costruire un percorso che le conduca al successo tra le altre persone, a raggiungere una meta per cui hanno (o credono di avere) studiato, combattuto e lavorato duramente. Il cammino per arrivare lì spesso richiede scelte dure e le vie da imboccare possono includere anche la consapevolezza del male, la probabilità di infliggere un dolore ad altri, l’opzione di travolgere una o molte vite; si tratta di passi inevitabili (o forse no) per giungere a quella destinazione che crediamo essere nostra, per compiere il nostro destino, per onorare la sorte che ci è toccata per nascita, per celebrare il trionfo sulla morte che fermiamo diventandone immuni negli occhi di chi ci guarda.

Così siamo pronti a distorcere le immagini che non ci piacciono, a cambiare le carte che ci danno torto e a respingere la responsabilità; così tutto diventa giusto o almeno inevitabile e se facciamo del male voleva dire che era necessario, indispensabile per risparmiare altro male, più grande, più grave, più ingiusto. Come se ci fosse una scala, un grado, un’attenuante o addirittura un lasciapassare etico per il dolore inflitto cercando di fare qualcosa di buono.

Nella vita di ognuno ci sono ferite inferte a tradimento a chi ci è più vicino, promesse fatte e non mantenute e scuse mai fatte o fatte solo per fuggire via dall’insopportabile peso delle conseguenze.

E poi c’è l’illusione di riparare senza ammettere nulla, di fingere ancora e travestirci, indossando le vesti della vittima inerme anzicchè prenderci in pieno la colpa e offrire ogni rimedio possibile.

Il film racconta una storia di ambizione, di vigliaccheria e di menzogna.

Bugie piccole si confondono con mistificazioni gigantesche ed insieme sostengono una falsa verità che impone alla forza di prevalere sulla forza, per impedire che l’umanità si consumi in una guerra senza fine.

Deve esserci un vincitore, un distruttore capace di indurre il terrore in ogni avversario, per sempre, a costo di distruggere l’intero pianeta nel tentativo di costruirsi l’arma che brandirà per ammonire i nemici.

Robert Oppenheimer suggerisce il dubbio morale al presidente Truman (Gary Oldman) che lo dissolve senza esitare, con il suo potere di nuovo padrone del Mondo. Oppenheimer, quindi, diventa una persona come le altre e si comporta come farebbe ognuno (o la maggior parte) di noi, dopo essersi visto per un attimo nello specchio con la maschera del boia.

Scappa davanti alla sua anima infettata dall’ambizione, ma ha ancora il cappuccio nero calato sul viso e dunque si sottopone alla recita che potrebbe salvarlo agli occhi del mondo, sbigottito per il massacro compiuto “dalla sua” atomica.

Vorrebbe che i mostri di Hiroshima e Nagasaki non portassero il suo cognome e che questo fosse cancellato anche dalla sua arma speciale, ma non è pronto a pagare per intero il prezzo della verità.

Lo sapeva bene e Nolan è bravissimo a raccontare il suo incontro con Einstein.

Le sue parole sono terribili: “Ricorda quando le ho detto che potevamo distruggere il mondo intero? Credo che lo abbiamo fatto”.

Non pagherà il suo prezzo, non in questa vita, e come lui, noi tutti stiamo ancora scappando.

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